12-1-2004
Francesco Rosi

Un maestro della cinematografia Italiana.

Presso la Sala Trevi “Alberto Sordi”, fino al 22 gennaio, una retrospettiva dedicata a Francesco Rosi, uno degli autori più coerenti e impegnati del nostro cinema “civile”


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Certo, il Maestro Rosi (Napoli, classe 1922) di film importanti ce ne ha regalati molti. Compresi quelli che segnarono i suoi esordi, quando giovanissimo faceva da assistente, in Sicilia, a Luchino Visconti per la Terra trema (1950) grande opera del realismo italiano. E poi, sempre con Visconti, altri capolavori come Bellissima (1952) e Senso (1954).
Dopo una breve esperienza radiofonica e teatrale si accostò definitivamente al cinema, scrivendo sceneggiature e lavorando con altri importanti registi del periodo, come Luigi Zampa in Processo alla città (1952) e Michelangelo Antonioni ne I vinti (1953). In queste collaborazioni sviluppò un forte interesse per la realtà e la vita politica e sociale del nostro Paese, interesse che lo guiderà nella scelta di soggetti di impegno civile e politico.

“Viviamo in un mondo in cui le cose succedono con una tale rapidità che diventa sempre più difficile selezionarle e capirle. Io credo che il compito di uno che racconta, non ha importanza se lo fa con la macchina da scrivere o con quella da presa, sia soprattutto di registrare, ma la registrazione ha valore solo se si implica una partecipazione personale. (Rosi)”.

Partendo da questa filosofia, nel 1950 portò a termine Camicie rosse, lasciato incompiuto da Goffredo Alessandrini per esordire alla regia nel 1956 con la Sfida, in cui affrontava il tema della camorra nei mercati generali di Napoli. Girato con tecniche proprie dei film sui gangster americani, il lavoro vedeva una prorompente e giovane Rosanna Schiaffino come protagonista femminile. Nel 1959 diresse I magliari, un’amara testimonianza sul malcostume di una certa emigrazione italiana in Germania, tra gli interpreti principali un indimenticabile Alberto Sordi.

Con Salvatore Giuliano (1961) Rosi raggiunse la sua maturità artistica confezionando un film-documento su una delle vicende più torbide della storia italiana del Novecento. Con Le mani sulla città (1963) cronaca-storia di denuncia sulla speculazione edilizia a Napoli, vinse il Leone d’oro al Festival di Venezia. Questo premio sancì la sua definitiva consacrazione come uno dei più rappresentativi e interessanti registi italiani. Confermata anche dalla sua opera successiva Uomini contro (1970) sugli orrori della Prima Guerra Mondiale.

Dopo essersi concesso una sorta di pausa con lavori non proprio convincenti come il Momento della verità e C’era una volta…, tornò al cinema politico con Il caso Mattei (1972) sull’oscura fine del fondatore dell’Eni e Lucky Luciano (1973) storia documentaristica sulla mafia italo-americana. Per arrivare, infine, a Cadaveri eccellenti (1976), tratto dal romanzo Il contesto di Leonardo Sciascia, forse la sua opera più pessimistica, specie nei confronti del potere, senza riferimenti diretti al nostro Paese, ma con allusioni implicite così chiare da non lasciare dubbi.

Di matrice letteraria furono anche i film successivi: Cristo si è fermato a Eboli (1976), tratto dal capolavoro di Carlo Levi e i Tre fratelli (1981), una delle sue opere più coinvolgenti sul piano emotivo. Di tutt’altro genere il film-opera Carmen da Bizet e Cronaca di una morte annunciata, che aveva ripreso da un romanzo del suo amico Garcia Màrquez. Con Dimenticare Palermo (1990), contraddittoria rielaborazione di un romanzo di Charles-Roux sulla mafia siciliana e americana, riprese il filone che lo aveva reso celebre negli anni Settanta.

Con uno dei suoi ultimi lavori, La tregua (1997), dal celebre romanzo di Primo Levi, Rosi sembra, invece, risalire alla sua vocazione realista e a quelle che sono state le pagine più terse del suo cinema “civile”. Oggi, il Maestro con la sua corporatura un po’ massiccia e l’inconfondibile voce robusta dall’accento vagamente partenopeo, sembra essere rimasto il “passionario” di un tempo, pronto a battersi per le proprie idee, ma cercando sempre di capire gli altri, soprattutto i giovani verso i quali si sente particolarmente vicino. Pur essendo un personaggio, Rosi resta una persona semplice e riservata che ai clamori del cinema continua a preferire il raccoglimento in casa, la famiglia e la moltitudine di libri che legge tutti e che spesso annota pagina dopo pagina.

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